ICAR 2017

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A cura di Caterina Pellegris

Si è da poco concluso il congresso nazionale ICAR 2017, tre giorni a Siena in compagnia dei professoroni della ricerca e della clinica italiana sull’HIV e di tutti gli attivisti e le associazioni che stanno vicino ai pazienti.

icar 2017Cosa mi porto a casa?

Sicuramente la passione, la passione dei volontari delle associazioni, ma anche quella di medici e ricercatori, nemmeno di primo pelo, che continuano a fare della battaglia per l’eradicazione del virus, la loro battaglia. Torniamo al nostro lavoro credo tutti un po’ più forti e meno soli, consapevoli che, pur nelle differenze di ruolo e di stile, abbiamo una mission comune che lega tutte le nostre attività in giro per l’Italia.

E’ un mondo in fermento, novità già presentate o preconizzate l’anno scorso, sono state ulteriormente studiate e/o sperimentate.

Le più interessanti? O meglio le più interessanti tra quelle che sono in grado di comprendere io? quelle destinate a incidere maggiormente sulla qualità di vita delle persone con HIV o sulla prevenzione?

Si è parlato tanto di self-test che da dicembre è disponibile nelle nostre farmacie. Come tutte le novità si porta dietro uno strascico di polemiche e di dubbi sulla sua reale valenza. Io credo che, perfettibile sicuramente, sia un’opportunità in più, uno strumento ulteriore nella battaglia che stiamo conducendo per la prevenzione e  in particolare per l’emersione del sommerso. L’Ospedale Spallanzani nei primi 6 mesi di “vita” del self test in farmacia, riporta di aver preso in carico ben 8 nuovi pazienti che si sono presentati per la conferma della diagnosi a seguito di un test eseguito in autonomia, un quinto di tutte le nuove diagnosi registrate nello stesso periodo. Un altro dato interessante è che di questi 8 pazienti, 6 hanno eseguito per la prima volta un test per l’HIV con questa modalità.

Si può dedurre che la possibilità di fare il test a casa propria intercetta una fetta di popolazione poco incline a recarsi in una struttura ospedaliera o associativa per eseguire il test?

Forse è ancora prematuro trarre delle conclusioni dopo un periodo di tempo così breve e scarsità di dati. Sono stati consegnati alle farmacie 47.000 test e un po’ più di 20.000 sono stati quelli venduti. Spallanzani a parte, non sappiamo quanti sono stati i casi di nuova diagnosi intercettati attraverso il self-test. C’è da pensare a grandi differenze tra città urbane e piccoli paesini. Quando ho chiesto al farmacista sotto casa come andasse la vendita del self test, mi ha guardato stranito: non ne aveva distribuito nemmeno uno. Non mi stupisce che invece nella farmacia del paese accanto la vendita proceda lenta e costante ma solo presso il distributore esterno che permette un ulteriore tutela della privacy.                                                                           Rimangono aperti grandi interrogativi:

come garantire la possibilità di un’immediata e necessaria presa in carico non solo medica, ma anche psicologica?

Può bastare un numero verde? E ancora che ne è dei minorenni grandi? A tutt’oggi, così come per il test gratuito e anonimo, la possibilità di testarsi è preclusa agli adolescenti, mentre non gli è precluso assolutamente fare sesso,e farlo non protetto.  I consultori possono prescrivere la pillola alle sedicenni, legittimando in qualche modo la possibilità che queste ragazzine abbiano rapporti non protetti (ma sicuri dalle gravidanze indesiderate) però poi non possono proporre loro il test dell’HIV senza il consenso dei genitori.

Diventa sempre più urgente mettere mano alla legge 135/90 per cambiare questa situazione, ma non è chiaro che priorità rivesta questa tematica nell’agenda politica. Per ora, è stato approntato un nuovo Piano Nazionale AIDS, che raccoglie e sintetizza ciò di cui abbiamo bisogno per prevenire nuovi contagi, per far emergere il sommerso e per curare e sostenere al meglio le persone che vivono con l’HIV. Tale documento è attuakmente al vaglio della Conferenza Stato-regioni e li, si vociferava ad ICAR, ci rimarrà a lungo perchè quello che manca sono le indicazioni su dove reperire i fondi per attuare concretamente tutte le belle cose che che sono scritte sul Piano: senza quello rimane un’utopia, anche se i principi che vi sono tracciati sono molto validi.

Un altro grande tema affrontato durante ICAR 2017 è stata la Prep (profilassi pre esposizione). È appurato che assumere il Truvada in modo mirato o continuativo, riduce notevolmente il rischio di infettarsi per una persona sana. In Francia è disponibile presso i centri clinici e può essere prescritta anche dai medici di base. Un ricercatore francese, Alexandre Aslan, dell’ospedale Saint-Luis di Parigi ha mostrato i dati del suo centro clinico e la filiera operativa…la dott.sa Mussini non ha nascosto il suo ironico stupore sentendo che ci sono 10 medici 6 infermiere e altrettanti counsellors che si dedicano alla diffusione e prescrizione della Prep… La sostenibilità è il primo problema che intravedo e mi preoccupa il rischio che le già scarse risorse dedicate alla prevenzione vengano dirottate tutte sulla strategia della Prep, che come riduzione del danno può anche andare bene e deve essere messa a disposizione, ma deve essere complementare ad altro, cioè

ad un serio programma di educazione alla salute che parta dalla responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti del proprio benessere quando si fanno delle scelte, a partire da quello che si mangia fino ad arrivare alla propria vita sessuale.

Questa responsabilità non può essere semplicemente delegata e sostituita in toto con una pillola. Senza contare la preoccupazione per la diffusione delle altre malattie a trasmissione sessuale di cui si è parlato tra le righe. Quindi, dal mio punto di vista, “SI” alla Prep ma con attenzione e senza dimenticare le strategie educative e promozionali peraltro molto in ombra ad Icar2017 quasi come se non si creda più nell’importanza e urgenza di serie campagne di informazione per medici di base, farmacisti, operatori della sanità più in generale (mi vengono in mente gli psicologi….) perchè diventino proattori di una diffusione capillare dell’educazione al test e ai comportamenti corretti. Di questo si è parlato secondo me troppo poco, anche se capisco che la natura “medica” del congresso abbia naturalmente fatto virare l’attenzione sugli aspetti “medicalizzati” anche della prevenzione.

Confesso che ho disertato la maggior parte delle sessioni a carattere sanitario perchè non ero sicuramente in grado di comprenderle anche se ho capito – ce lo stiamo dicendo da un po’ – che ora l’attenzione è posta sulla miglior gestione della cura, che prolungata nel tempo pone nuove sfide ai cinici. Non si tratta più di salvare la vita ai pazienti , ma di garantirgli la miglior qualità di vita possibile e di garantirla nel tempo. Molta attenzione si sta ponendo alla nuova categoria di pazienti, gli hiv positivi che invecchiano e che comporta la gestione di tutte le comorbilità che possono instaurarsi con l’avanzare dell’età. Aldilà delle innovazioni farmacologiche credo che bisogna ripensare alla filiera della cura, coinvolgendo più specialisti e soprattutto responsabilizzando i medici di base che fino ad oggi hanno delegato agli infettivologi anche questioni che non riguardano strettamente la patologia infettiva.

Purtroppo da ICAR mi porto a casa anche un pensiero fisso che non riesce ad abbandonarmi: continuo a pensare a quella ragazzina coetanea di mio figlio che in un letto di ospedale ha appena scoperto di aver contratto l’HIV. E lo sento come un fallimento, personale e di sistema, non avrebbe dovuto succedere. Cosa avremmo potuto e dovuto fare per evitarlo? Un senso di frustrazione mi pervade e poi penso a quanto ho raccolto nei 3 giorni senesi. E vorrei dirle solo una cosa:

“non preoccuparti ragazzina, non sei sola, avrai comunque una vita bella, stiamo tutti lavorando per te!”

 

 

 

 

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