Tre volontari per San Michele

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A cura di Giuseppe Pigolotti

L’associazione Comunità Emmaus nasce negli anni settanta come associazione di volontariato. Da allora, i volontari hanno sempre avuto un ruolo essenziale nelle attività, anche quando nel tempo si sono trasformate in servizi veri e propri, accreditati e professionali. L’apporto umano e affettivo che il volontario, oggi più che mai, è in grado di portare dentro i servizi è essenziale per la filosofia dell’Associazione che vede nella centralità dell’uomo e delle sue relazioni il fulcro di tutto il lavoro.

Quella che vogliamo raccontare è l’esperienza di tre volontari che operano all’interno di Casa San Michele, una della case alloggio per persone  con HIV, gestite dall’associazione: Gianni, Giuliana ed Elena.

“Quando sono andato in pensione, non essendo sposato, mi sono ritrovato con parecchio tempo libero e mio fratello, uno dei fondatori dell’associazione Comunità Emmaus mi ha proposto di fare volontariato; inizialmente prestavo la mia opera nella comunità di Chiuduno poi, nel 2002, mi è stato chiesto di fare qualche notte qui a San Michele e da allora non mi sono più spostato” racconta Gianni con il suo sorriso bonario; anche Giuliana ha iniziato a fare volontariato una volta andata in pensione: “Ho lavorato in ospedale al centro elaborazione dati e sono andata in pensione abbastanza giovane; ho iniziato ad impegnarmi nel gruppo UNITALSI del mio paese dove tuttora faccio volontariato, e qui ho conosciuto Suor Angela che mi ha proposto di dare un po’ del mio tempo libero anche a Casa San Michele”. Elena invece ha una storia diversa, è mamma di quattro figli e si è dedicata a tempo pieno alla loro crescita fino a quando questi sono diventati grandi, allora ha deciso di dedicare il suo tempo agli altri: “Quando i miei figli sono diventati grandi mi sono rivolta al parroco del mio paese che conosceva Don Monticelli e lui mi ha indirizzato verso l’associazione Comunità Emmaus; sono stata inizialmente in una comunità per mamme e bambini e poi sono passata in vari servizi gestiti dalla Caritas e dalla Emmaus. Ora presto volontariato presso la casa di Padre Aldo a Bergamo e a Casa San Michele”.

La presenza dei volontari in una casa è molto preziosa perché essi riescono ad avere un ruolo più neutro e più amicale rispetto a quello degli operatori. E’ sempre Gianni che inizia: “Non faccio nulla di specifico all’interno della casa, condivido con gli ospiti la vita di tutti i giorni e soprattutto il tempo libero cercando di aiutarli a creare degli interessi che siano diversi da quello che hanno sempre fatto”. Giuliana aggiunge: “Per loro noi siamo come dei fratelli maggiori a cui potersi confidare senza temere di venire giudicati per quello che ci raccontano o per quello che sono stati in passato”. Elena invece sottolinea come i volontari possano essere un aiuto per gli operatori: “Io trascorro meno tempo da sola con gli ospiti e per questo non ricevo molto le loro confidenze. Cerco di collaborare con gli operatori mettendo a  disposizione la mia esperienza nella gestione della casa e della cucina in particolare”.

Fare volontariato in una casa alloggio ti pone di fronte al problema dell’AIDS  Elena: “Prima di venire in casa alloggio conoscevo l’AIDS per quello che veniva riportato sui giornali e alla televisione e perché in paese erano morte alcune  persone  per questa malattia”; Giuliana aggiunge: “Quando mi è stato proposto di fare volontariato in una casa alloggio non ho scelto il servizio perché si occupava di persone HIV positive e l’AIDS non mi ha condizionato. Ho scelto questo servizio per poter condividere una parte del mio tempo con gli altri e per essere di aiuto all’altro”. Anche Elena non si è lasciata influenzare dal fatto che la casa ospitasse persone con HIV e anzi sottolinea come questo sia uno dei tanti problemi di cui gli ospiti sono portatori: “l’AIDS è forse l’ultimo dei problemi delle persone che ho incontrato a Casa San Michele. Ciò che più mi ha colpito è la situazione di abbandono, anche da parte dei familiari, e di solitudine di molti di loro. Sembrano dimenticate da tutti ma non perché HIV positive ma per la loro storia e per quello che hanno fatto nella loro vita”. Gianni pone invece l’accento sulla mancanza di informazione e sui pregiudizi che tuttora girano attorno all’AIDS: “La mia vita è sempre stata segnata dal volontariato ma mai come quando ho iniziato a frequentare San Michele amici e familiari si sono dimostrati scettici rispetto alla scelta fatta. Il raccontargli cos’è la malattia, quali sono le forme di contagio li ha però tranquillizzati”. Elena e Giuliana invece non hanno mai avuto problemi in questo senso: “I nostri figli sapevano già cosa fosse l’AIDS e non si sono fatti particolari problemi rispetto al luogo che frequentiamo”; Giuliana aggiunge: “Mio marito addirittura mi appoggia e mi sostiene in questa scelta lasciandosi ogni tanto coinvolgere in qualche iniziativa della casa”.

Tutti e tre i volontari sono d’accordo sul fatto che l’HIV/AIDS non crei loro problemi o fatiche quanto il trovarsi di fronte a persone che hanno storie di vita tanto difficili e tormentate che li toccano e che gli pongono interrogativi. Elena, l’ultima arrivata in ordine di tempo nella casa, dice: “Io non ho vissuto il periodo in cui nella casa si moriva di AIDS e forse per questo la malattia tendo a vederla sempre sullo sfondo e mai come la causa principale per cui gli ospiti sono qui. Quello che faccio più fatica ad accettare è  avere di fronte persone che faticano ad uscire dal loro mondo e dalle loro abitudini, la più grossa frustrazione che vivo è quella di non riuscire a trasmettergli interessi che vadano oltre a quello che è stato il loro passato”. Anche Giuliana è sulla stessa linea: “Quando sono a San Michele vivo molto la frustrazione di non riuscire ad aiutare a dare un futuro diverso a queste persone, ad aiutarle ad uscire dalla loro condizione per riprendere una vita “normale”, un lavoro, una casa dove abitare”. Gianni  è molto legato emotivamente agli ospiti e vorrebbe in tutti i modi aiutarli per dargli un futuro: “Io vivo da solo e non ho una moglie, dei figli e una famiglia, forse per questo tendo a legarmi molto agli ospiti della casa. Vivo bene il rapporto con loro e sto bene quando sono a San Michele. Mi lascia molto amaro in bocca quando vedo che i famigliari di queste persone li trascurano e non hanno alcun rapporto con loro. Come casa sento che questo dovrebbe essere un obiettivo su cui lavorare”.

Elena e Giuliana invece fanno più fatica ad accettare i ritmi e gli stimoli che la casa da agli ospiti. Giuliana vede la casa un po’ spenta: “Mi piace molto come le persone vengono accolte e come ci si prende cura di loro ma per me la casa dovrebbe essere anche un luogo più vivo e stimolante. Forse questa mancanza è anche dovuta al fatto che fino a qualche anno fa le persone accolte erano molto più compromesse da un punto di vista fisico.”. Elena aggiunge: “In certi momenti della giornata, la casa è veramente poco viva come il pomeriggio. Mi piacerebbe si strutturasse la giornata in modo diverso per cercare di stimolare anche intellettualmente di più gli ospiti, per dargli degli stimoli e fargli vivere esperienze nuove. Per contro mi piace molto come gli ospiti vengono accolti e come vengono rispettati per quello che sono senza che siano giudicati per i loro trascorsi.”.

Anche questo è il ruolo dei volontari, essere da stimolo per nuove iniziative, fungere da pungolo per gli operatori portando il loro speciale punto di vista all’interno delle equipe che lavorano nelle case .

“Come operatore -.racconta Giuseppe – ringrazio i volontari che lavorano insieme a noi. Gli ospiti hanno la possibilità di sperimentare una relazione diversa da quella che hanno con l’operatore, una relazione più paritaria, più simile a quelle che potrebbero instaurare fuori dalla casa. Per gli operatori, avere qualcuno che porta nelle equipe una prospettiva diversa è utile a mettersi in discussione e a cercare delle nuove strade per aiutare al meglio gli ospiti.”

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