Si può fare di più!

|

In occasione della 30esima Giornata Mondiale della lotta all’AIDS, 1° Dicembre 2018, le associazioni del Terzo Settore che a Bergamo si occupano di persone con HIV da anni, hanno sottoscritto questo comunicato stampa, un appello accorato a fare di più e meglio per sconfiggere il virus dell’HIV e lo stigma che esso genera attorno alle persone che ne sono affette.

Ogni anno nel nostro paese tra le 3.500 e le 4.000 persone scoprono di essersi infettate, la gran parte per via sessuale, la maggior incidenza è nei giovani tra i 25 e i 29 anni. Si stima che il numero totale di persone viventi con HIV/AIDS in Italia superi i 130.000 casi: una buona parte, almeno 15.000, non è consapevole dell’infezione poiché non ha mai fatto il test. Circa il 60% delle persone che scoprono oggi l’infezione si sono infettate da alcuni anni, ma non sapendo, non hanno beneficiato delle terapie, al punto che alcune hanno fatto il test solo dopo aver avuto segni evidenti di malattia e, intanto, tutti possono aver infettato altri in modo inconsapevole. Dal momento del contagio alla malattia, in assenza di terapie, possono passare diversi anni, per buona parte senza sintomi particolari. A Bergamo, sono seguiti circa 3000 pazienti con HIV, mentre i nuovi casi oscillano attorno ai 100 all’anno. In generale, la situazione è statica da diversi anni, almeno per quanto ne possiamo sapere, visto il sommerso e il ritardo nella diagnosi.

I dati dicono in modo evidente che manca una corretta educazione alla prevenzione e al test.

Le giovani generazioni, ma non solo, necessitano ancora di essere informate e formate in modo adeguato. La ricerca medica ha fatto passi da gigante e l’HIV è diventata una patologia cronica, ben gestibile attraverso farmaci efficaci che garantiscono una buona qualità di vita e che, se assunti e monitorati correttamente, annullano la possibilità di trasmettere l’infezione ad altre persone. Educare al test, convincere le persone dell’importanza di effettuarlo se si sono avuti comportamenti a rischio, è cruciale e può portare ad una riduzione drastica delle nuove infezioni, questo è il messaggio della trentesima giornata mondiale di Lotta all’AIDS.

Mentre in altre nazioni europee si assiste ad un calo dei casi, in Italia nessun segnale in questo senso da anni. Londra va verso quota zero nuovi casi, Milano, insieme ad altre città lombarde tra cui Bergamo, resta tra le province con maggiore incidenza di nuovi casi a livello nazionale ed europeo.

Le questioni legate all’HIV restano complesse:

il confronto con il limite e la paura della morte, il tema della diversità, i sensi di colpa acuiti dal giudizio altrui, le implicazioni nella sfera della sessualità e dell’affettività, l’indicibilità della malattia.

L’HIV è diventata una malattia invisibile poiché di fatto può esserlo a lungo e comunque si preferisce non vederla: si evita di fare il test, di mettere in discussione i propri comportamenti a rischio e riflettere sui propri agiti; è una malattia che si fatica ad accettare a livello psicologico e pratico, che spesso non si può o non si vuole raccontare: per alcuni diventa un segreto da non dire nemmeno ai propri familiari accompagnato da un forte sentimento di solitudine. D’altra parte, anche se latenti proprio perché non se ne parla più, stigma e pregiudizio sono ancora frequenti in ogni ambiente, compreso quello sanitario e socio-sanitario. Continuiamo ad essere testimoni di episodi di questo genere, anche a Bergamo.

Gran parte della stampa e dei mezzi di informazione si occupano di HIV/AIDS quasi esclusivamente in occasione di episodi di cronaca che consentono di alimentare la “rassicurante” logica dell’untore (e del capro espiatorio), “sbattendo il mostro” in prima pagina, o con reportage che permettono di collocare i comportamenti a rischio in zone “oscure” ed estreme da cui prendere le distanze: i casi degli “untori” di Roma e di Ancona, i servizi su fenomeni di ricerca deliberata del rischio in situazione estreme o, da ultimo, il timore per i vestiti raccolti sulle navi che trasportano i migranti considerati erroneamente potenzialmente contaminati e infettivi. Meglio continuare a pensare che l’HIV sia questione di comportamenti deplorevoli, possibilmente criminali (con relative vittime), comunque stigmatizzabili che lasciarsi interrogare sui propri “normalissimi” comportamenti a rischio nella sfera sessuale ed affettiva.

È un “ritornello” che, con crescente amarezza, ripetiamo da alcuni anni.

In occasione della 30^ Giornata Mondiale di Lotta all’AIDS

vogliamo però ribadire con forza che le istituzioni pubbliche devono fare di più e meglio per invertire la rotta, sia dal punto di vista epidemiologico che informativo, culturale e sociale.

Alcuni dati oggettivi fanno riflettere. Il nuovo Ministro della Salute ha impiegato otto mesi a convocare la nuova Commissione Nazionale AIDS. Regione Lombardia non ha ancora nominato la Commissione Regionale AIDS decaduta prima delle elezioni e non convocata da oltre un anno. Il Tavolo Interistituzionale HIV/AIDS di Bergamo, fortemente voluto dalle realtà del terzo settore e gestito dall’ATS, è stato convocato una sola volta nel corso del 2018, evidenziando la fatica di avere un luogo di coordinamento e promozione delle progettualità territoriali. Le pochissime iniziative pubbliche si concentrano sul 1° dicembre o su singole iniziative estemporanee, ma non basta!

Lo scorso anno è stato varato il nuovo Piano Nazionale AIDS, approvato anche dalla Conferenza Stato-Regioni, con indicazioni chiare ed articolate sulle azioni di prevenzione, promozione del test e lotta allo stigma. Il Piano, che doveva rilanciare l’impegno di tutti, rischia di restare lettera morta. È facile per ciascuna istituzione scaricare la responsabilità sulle altre o sui livelli superiori: le Regioni sullo stato che non avrebbe previsto i finanziamenti necessari ad attuare il Piano, anche se la competenza in tema di salute è materia comune, le ATS sulla Regione che non dà indicazioni in merito, le ASST sulle ATS… il timore è che il tema si perda nella complessità, schiacciato da altre necessità che attirano maggior consenso dell’attenzione pubblica. La questione HIV, come altri temi di natura sociale e sanitaria, richiede strategie ed investimenti di medio-lungo periodo e continuativi.

Nella realtà bergamasca il passaggio di competenze dalla vecchia ASL (ora ATS) alle nuove ASST (Bergamo Est, Bergamo Ovest e Bergamo-Papa Giovanni XXIII) ha comportato la chiusura di buona parte dei centri pubblici che offrivano ufficialmente la possibilità di effettuare il test in modo anonimo e gratuito sul territorio.

Come iniziativa di collaborazione con la nuova organizzazione è stato proposto ad ATS di concertare con le ASST la permanenza di punti test diffusi e, soprattutto adeguatamente pubblicizzati, collegati al Centro IST (infezioni sessualmente trasmesse) dell’ospedale cittadino Papa Giovanni XXIII. In questo può facilitare il rilancio del Tavolo Interistituzionale.

Altre azioni a costo relativamente contenuto potrebbero essere attuate per sensibilizzare al test. Per esempio, una ricognizione sull’accesso all’autotest disponibile nelle farmacie, anche con l’obiettivo di sensibilizzare i farmacisti ad offrire un minino di counselling ai clienti su cosa fare e a chi rivolgersi in caso di esito positivo.

Sarebbe importante inoltre lavorare sul ruolo dei medici di base. Andrebbe affrontato il tema dei comportamenti a rischio legati all’uso/abuso di sostanze lecite ed illecite, a fenomeni come il chemsex, alle dipendenze che coinvolgono la sfera sessuale e al conseguente possibile ruolo dei Servizi dedicati…

Negli anni passati, sono state realizzate importanti iniziative rivolte a giovani e studenti, proprio grazie alla sinergia tra istituzioni pubbliche e realtà del privato sociale raccordate nel contesto del Tavolo Interistituzionale HIV/AIDS, voluto fortemente dalle realtà del privato sociale. Nel triennio 2015-2017, grazie ad un finanziamento dell’8×1000 della CEI, erogato tramite il Progetto Nazionale AIDS di Caritas Italiana, alcune delle nostre organizzazioni hanno lavorato intensamente per la sensibilizzazione, l’informazione e la formazione soprattutto in ambito scolastico, raggiungendo con “Osare la Speranza 2.0” oltre 7000 studenti delle scuole superiori e dell’Università, coinvolgendo negli anni 33 Istituti Scolastici della provincia in momenti educativi, eventi e manifestazioni pubbliche. Le istituzioni sanitarie tra cui ATS ed ASST Papa Giovanni XXIII, il Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci, l’Ufficio Scolastico Provinciale ed altre realtà pubbliche hanno collaborato, con intensità diverse, alla realizzazione di tali iniziative. Ricordiamo, tra gli altri, l’evento #ABBRACCICONSAPEVOLI che ha coinvolto direttamente, nell’ottobre 2017, 1500 persone ed ha avuto un impatto mediatico nazionale. Per dare continuità a questi sforzi, durante il 2018, abbiamo preparato una “Valigetta degli attrezzi HIV/AIDS”, che offre metodologie e strumenti per i docenti che vogliono provare ad integrare il tema dell’HIV all’interno dei percorsi curricolari, in ottica multidisciplinare, garantendo così una formazione permanente agli studenti. La sperimentazione di questo Valigetta, affidata al team di Bergamo da Caritas Italiana, si svolgerà durante tutto l’anno scolastico 2018/19 su tutto il territorio nazionale.

Questo impegno fruttuoso chiede di essere rilanciato in sinergia, perché siamo convinti che tutti i soggetti concordino che la solidità di tale collaborazione proficua non possa essere disinvestita.

Un’altra proposta, che oggi chiede particolare attenzione, è quella di attivare un gruppo di lavoro sul tema della cura ospedaliera ed extraospedaliera, a partire dalla nostra particolare esperienza con le fasce di popolazione più vulnerabili dentro le case alloggio per persone con HIV/AIDS e nei servizi di prossimità. Emerge la necessità di migliorare la presa in carico, dal punto di vista psicologico e sociale, delle persone con nuova diagnosi o di chi affronta momenti di fatica che mettono in discussione l’assunzione corretta delle terapie e il benessere complessivo della persona.

Da parte dei pazienti vengono consegnate difficoltà che derivano da contingenti necessità organizzative (la rotazione dei medici negli ambulatori per cui trovi sempre medici diversi, il pochissimo tempo a disposizione per le visite periodiche, la scarsa disponibilità di spazi di ascolto e supporto psicologico competenti anche sulla problematica specifica dell’HIV, ecc.). Una prima risposta è stata quella di offrire spazi di ascolto, sfruttando anche le nuove tecnologie di comunicazione, e gruppi di autoaiuto e di confronto, in collaborazione con ASST Papa Giovanni e parzialmente sostenuti, negli ultimi anni, solo dalla Fondazione della Comunità Bergamasca.

Le associazioni e il privato sociale cercano da sempre di fare la loro parte, ma chiediamo pubblicamente più supporto e disponibilità a tutte le istituzioni pubbliche oltre che maggiore sensibilità ed attenzione ai mezzi di informazione.

 

Bergamo, 27/11/2018

 

Sottoscrivono il comunicato: Caritas Diocesana Bergamasca, Associazione Comunità Emmaus, Cooperativa Sociale Il Pugno Aperto, Cooperativa Sociale L’impronta, Fondazione Angelo Custode, Associazione Lotta alle Tossicodipendenze.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Seguici via e-mail!

Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.

Articoli recenti

News recenti

Archivio articoli e news

News recenti

Archivio articoli e news

-->