Tanto a me non capita…(forse)

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Tra i dati che sono stati pubblicati in concomitanza della Giornata Mondiale della lotta all’AIDS ci colpiscono particolarmente quelli relativi alle motivazioni di accesso al test degli italiani nonché il numero di CD4 al momento della diagnosi, strettamente correlati tra loro.

Se la maggior parte degli accessi al test delle persone che sono state diagnosticate HIvpositive è da attribuire al caso o alla presenza di sintomi, non stupisce che l’Italia sia significativamente sopra la media europea rispetto alla percentuale di nuove diagnosi con CD4 inferiori ai 350cells/mm3.

È sconfortate vedere che la motivazione più frequente per l’accesso al test è quella relativa alla presenza di sintomi correlati all’HIV: ben il 32% delle nuove infezioni nel 2017 è stato scoperto a fronte di un peggioramento evidente delle condizioni di salute di una persona che ignorava di aver contratto l’HIV perchè non ha mai sentito la necessità di andare a fare il test. Probabile dunque che quell’infezione non sia recente, ma da addebitarsi a qualche anno addietro. motivazione test2018 (1)

Le motivazioni sottolineate con il giallo possono essere raggruppate in un’unica grande categoria, quella del caso, che rappresenta tutte le persone che hanno scoperto l’HIV grazie alle donazioni di sangue, ai controlli legati alla riproduzione, ai controlli che ti propongono in ospedale. Si tratta di chi probabilmente non aveva consapevolezza del rischio corso e non si era posto il problema del possibile contagio ma, per fortuna, ha comunque fatto un test. In questo calderone, alcune infezioni possono essere recenti, ma altre sicuramente no.

In realtà, solo il 26% delle nuove diagnosi è stato scoperto grazie alla consapevolezza del rischio corso e dunque della necessità di sottoporsi al test da parte della persona.

Questa dovrebbe essere invece la motivazione prevalente per decidere di sottoporsi al test dell’HIV!

Allora non stupisce che il 55,8% delle nuove diagnosi presenti un sistema immunitario già intaccato dal virus scoperto tardivamente, con una quantità di CD4 inferiore ai 350 cells/mm3, e che addirittura il 36% del totale abbia un sistema immunitario gravemente compromesso con CD4 inferiori ai 200 cells/mm3: tra questi molti hanno scoperto l’HIV contestualmente alla diagnosi di AIDS.

Da questi dati, gli esperti poi deducono la stima sul numero di persone che hanno contratto il virus ma non ne sono consapevoli ancora: circa 15.000 su un totale di 130.000 persone. Un numero importante in termini di rischi per la salute pubblica, considerando che chi è inconsapevole verosimilmente provoca il maggio numero delle nuove infezioni. Il primo dei 3 traguardi che l’Unaids si è dato per sconfiggere l’epidemia di HIV nel mondo è infatti legato all’emersione degli inconsapevoli: entro il 2020 si sarebbe dovuto raggiungere con una diagnosi di positività  il 90% delle persone infette. Il condizionale è d’obbligo nel mondo, ma anche in Italia non dobbiamo abbassare la guardia.

In uno studio sulle infezioni recenti, pubblicato sul Bollettino COA 2018, emerge che solo il 18% del totale delle diagnosi del 2017 può attribuirsi ad un contagio recente. Anche se i risultati sono da considerarsi parziali (solo nel 17% delle nuove diagnosi sono stati eseguiti accertamenti specifici), è evidente che dobbiamo moltiplicare gli sforzi per facilitare l’accesso al test, soprattutto lavorando sulla motivazione e la percezione del rischio che risultano essere particolarmente basse soprattutto tra chi si infetta con rapporti eterosessuali.

Bisogna investire sulla sensibilizzazione e l’informazione, servono campagne continuative e serie,

servirebbe ragionare coi medici di base che dovrebbero essere i primi a proporre ai loro assistiti il test dell’HIV, bisogna lavorare più intensamente con i gruppi di persone più a rischio e vulnerabili. Servono fondi specifici per incentivare la somministrazione dei test anche al di fuori di ambienti strettamente sanitari, che vadano ad intercettare nei luoghi di vita le persone che diversamente non si sottoporrebbero ai controlli.

Tutto questo è già scritto nel Piano Nazionale AIDS, ma ad oggi assistiamo ad un sostanziale immobilismo delle istituzioni che hanno la responsabilità di tramutare ciò che è scritto in azione.

Da sole, le associazioni e i gruppi di attivisti, non possono essere sufficientemente incisivi.

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