Ci sono altri 364 giorni…

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A cura di Caterina Pellegris

È tempo di bilanci e verifiche anche quest’anno, dopo la “scorpacciata” di iniziative organizzate per celebrare la Giornata mondiale della lotta all’AIDS del 1° Dicembre.

collage_hivfreezone_blogPartiamo dalle cose positive: anche quest’anno a Bergamo siamo riusciti a mobilitare molte realtà del pubblico e del privato sociale  e non solo quelle che si occupano quotidianamente di HIV. Mai come durante questo periodo si rende visibile il lavoro di rete, un lavoro che richiede un impegno costante nella tessitura  e nella tenuta dei legami perché nessuno si tiri indietro e dimentichi il ruolo che deve esercitare nella lotta a questa infezione.

Positivo che non abbiamo limitato le iniziative ad un solo giorno, ma siamo riusciti ad organizzare una campagna articolata e diversificata attorno ad un unico slogan: HIV Free Zone. Ecco qualcuno ha criticato la nostra scelta cogliendo il rischio potenziale di una cattiva interpretazione. È stato un rischio calcolato, la “zona franca” a cui volevamo far riferimento era una

comunità libera dei pregiudizi e consapevole dei rischi, capace di difendersi dal virus, senza allontanare le persone anzi sviluppando una capacità di accoglienza che ancora stenta a diffondersi nel nostro territorio.

E ci sembra che lo spirito dello slogan sia stato capito da tutti, basta leggere i commenti che hanno accompagnato i selfie sui social.

Positiva l’attivazione delle persone sui social e l’adesione alla proposta di farsi un selfie con il palmo della mano personalizzato dallo slogan HIV FreeZone. Siamo riusciti a coinvolgere ogni fascia di età, travalicando anche i confini non solo della provincia ma anche dell’Italia.

Positiva l’affluenza all’iniziativa di ATS e Consulta degli studenti dell’Università di Bergamo per la somministrazione dei  test rapidi salivari nelle sedi universitarie: 150 test che non hanno rilevato alcuna infezione, ma non è questo lo scopo. L’obiettivo è normalizzare l’accesso al test dell’HIV perché i dati degli ultimi anni raccontano un’altra storia, una storia di scarsa percezione del rischio, in cui troppo spesso chi ha rischiato non lo capisce e non si sottopone al test, e purtroppo a volte scopre tardi l’infezione, quando è già evoluta in AIDS o ci è vicina.

Positiva la nuova pagina tematica di ATS, che ha avuto grande visibilità durante la campagna, con il banner  HIV Free Zone bene in evidenza, ma che dovrebbe restare nella homepage in modo che chiunque abbia bisogno di sapere dove fare il test possa trovare le informazioni con facilità non solo il 1 Dicembre. Certo non sembra che sia stato colto da molti enti l’invito a mettre il banner nella propria homepage durante la settimana della Giornata Mondiale della lotta all’AIDS.

p1611019_emmaus_convegno-aids-2016_a4-1Positivo il clima respirato durante il seminario “HIV/AIDS tra bisogni (ri)emergenti e  vecchi silenzi”. Erano presenti i partner del progetto Osare la Speranza 2.0 ed è stata l’occasione innanzitutto per fare il punto di quanto prodotto nella prima annualità e rilanciato nella seconda, di quanto si potrà ancora fare fino a giugno, ma in particolare per provare a delineare cosa succederà “dopo di noi”.

Osare la Speranza 2.0 finisce a giugno 2017, lasciando un’eredità importante in termini di numeri e di esperienze, ma soprattutto di significati, non dobbiamo lasciar calare di nuovo il silenzio sull’HIV, non possiamo permettercelo sia in termini di prevenzione (anche quest’anno sono quasi 100 i bergamaschi che hanno scoperto l’infezione) sia in termini sociali: le persone con HIV vivono nella solitudine, spaventati dalla possibilità di essere riconosciuti, con un carico di sofferenza inaccettabile dopo 30 anni.

“Il silenzio colpevole e la chiacchiera sono i luoghi dell’inautenticità umana”,

così Don Claudio Visconti, direttore di Caritas Diocesana,  ha esordito citando Heiddeger, per tentare di descrivere cosa è accaduto e potrebbe nuovamente accadere rispetto alla rielaborazione di questa nostra società sul tema dell’HIV: silenzi e falsi miti, chiacchiere sterili ed indifferenza hanno permesso a questo virus di proliferare e di minare le vite di chi l’ha contratto.

Ma dove sono le risorse per le prevenzione? Qualche campagna discontinua, iniziative pregevoli e ben fatte, ma puntuali ed isolate non possono bastare, non bastano visto che ogni anno, prendendo in esame anche solo i dati provinciali, 100 bergamaschi si scoprono infetti e la maggior parte di questi lo è da tempo.

Ma dove sono le risorse per prendere in carico la persona nella sua interezza come  vorrebbe la nuova riforma della sanità lombarda? Le visite in day-hospital durano 10 minuti, i medici ruotano, perché così “tutti conoscono tutti”, con il risultato concreto che nessuno conosce nessuno in un’epoca dove, fortunatamente, è necessario sottoporsi ad una visita ogni 6 mesi.  Ma lo spazio per ascoltare il paziente, di prendersi cura anche delle sue difficoltà emotive e relazionali non c’è: non stiamo dicendo che dovrebbe farlo l’infettivologo, ma dove sono finite le figure professionali che dovrebbero farlo e che un tempo giravano in reparto? Con Spazio Positivo, ci stiamo provando a creare un luogo e un tempo per l’ascolto e l’accompagnamento delle persone con HIV,  ad oggi è solo una piccola sperimentazione che sta dando sicuramente risultati interessanti, ma va condivisa tra più soggetti per dare continuità di azione e pensiero.

L’HIV rimane l’unica malattia che non si può dire, l’unica che si vive nella solitudine ed è paradossale perché non è nemmeno una malattia, è un’infezione cronica facilmente gestibile dal punto di vista sanitario, immensamente difficile da accettare dal punto di vista umano, relazionale e sociale.

Ci sono altri 364 giorni in un anno per proseguire quanto di buono e bello fatto in occasione del 1 Dicembre,

dobbiamo tutti  lavorare perché ogni giorno sia la Giornata della lotta all’AIDS, al pregiudizio, allo stigma e al silenzio sull’HIV.

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