ICAR 2018

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A cura di Caterina Pellegris

ICAR è diventato un appuntamento fisso anche per noi. Ormai da 3 anni partecipiamo e da due gestiamo insieme ad altri le postazioni del C.I.C.A. (Coordinamento Italiano Case Alloggio per persone con HIV/AIDS) e di Caritas Italiana all’interno del Community Village.

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Anche quest’anno, tutto sommato, torno a casa con buone sensazioni rispetto a ciò che si sta muovendo, forse con un atteggiamento più disincantato rispetto alle precedenti edizioni, più critico rispetto ad alcune cose osservate. 

Ho apprezzato che il Congresso si sia aperto ancora con la premiazione del concorso RaccontArt promosso da NPS: dimostra un’attenzione nei confronti della prevenzione, che non può essere solo distribuzione di volantini e eventi dimostrativi. Spingere gli studenti a rielaborare i contenuti discussi insieme al fine di produrre un elaborato da presentare ad un concorso è una strategia vincente perchè favorisce la costruzione di una competenza personale, spinge ad una riflessione più profonda e ad un incontro con l’altro più intimo. Certo non sempre i prodotti dei ragazzi sono “corretti” da tutti i punti di vista, anche quest’anno ho trovato una grossa enfasi sugli aspetti più “drammatici” e un po’ anacronistici e marginali della questione HIV. È un rischio che si corre nei percorsi di prevenzione e di approfondimento su questo tema. La motivazione può essere in parte legata all’emotività degli studenti in giovane età, che rimangono probabilmente più colpiti dai lati più “tragici” del problema.

Però forse ci si deve interrogare su cosa gli trasmettiamo, sull’enfasi che mettiamo su alcuni aspetti e su cosa non riusciamo a condividere meglio coi ragazzi.

Devo dire che gli elaborati di quest’anno mi sono piaciuti più di quelli degli anni passati, quindi complimenti a chi ci ha lavorato. 

Di prevenzione nelle scuole ha parlato anche Laura Rancilio, come Caritas Italiana, presentando i risultati del lavoro di tre anni attraverso l’analisi dei questionari pre e post interventi raccolti dal Progetto AIDS. La dott. Rancilio ha fatto un’ottima presentazione dell’indagine sullo stigma e su come questo indice si modifichi quando si riesce ad interagire in profondità con le persone e si riesce a dialogare. Lo studio presentato probabilmente è tra quelli con il campione più numeroso e sono molto contenta che questo progetto, a cui abbiamo partecipato come Associazione insieme alla Caritas Diocesana Bergamasca, abbia raccolto l’attenzione e l’interesse della comunità scientifica. Purtroppo, devo riscontrare una certa “diffidenza” da parte di qualcuno della Community nei confronti del nostro lavoro, come se qualcuno si sentisse più autorizzato di altri ad occuparsi di HIV… 

Fortunatamente, non è così per tutti ed anche quest’anno la cosa più bella ad Icar sono stati gli incontri con le persone della Community: con alcuni è un ritrovarsi dopo un anno e riconoscersi nel racconto di ciò che si è riusciti a fare, con altri invece è l’inizio di una relazione che forse si svilupperà tutta in quei tre giorni, ma che comunque ti arricchisce e ti da nuovi stimoli e nuovo entusiasmo per continuare a lavorare. Anche quest’anno torniamo al nostro lavoro, sentendoci parte di una comunità viva, in continua evoluzione, che parallelamente al lavoro fondamentale dei clinici e dei ricercatori, ogni giorno cerca di portare avanti la lotta allo stigma e alla discriminazione, per andare oltre l’obiettivo 90/90/90 dell’OMS (90% delle persone infette diagnosticate/90% delle persone diagnosticate in terapia/90% delle persone in terapia con carica virale irrilevabile) verso il raggiungimento di un 4° 90:

quello del benessere complessivo e della qualità di vita delle persone con HIV. 

Se ne è parlato molto a questo Congresso, d’altronde la scienza ha fatto passi da gigante rispetto alla terapia che cronicizza l’infezione e consente una prospettiva di vita a lungo termine; a questo punto gli sforzi si devono concentrare sulla qualità di questa vita ormai non più così precaria come una volta. Da un’indagine svolta da Nadir attraverso la somministrazione di un questionario alle persone con HIV, emerge che la percezione del proprio benessere sia piuttosto scarsa: propensione a pensarsi nel futuro, salute mentale e salute sessuale, inclusione sociale sembrano essere nervi scoperti per le persone che, raggiunto l’obiettivo dell’azzeramento della viremia, non riescono però a stare bene davvero. I processi di invecchiamento, spesso velocizzati dall’infezione stessa, complicano ancor di più il quadro di una situazione che ancora non conosciamo fino in fondo, ma che sicuramente richiede una presa in carico diversa da quella che offrono molti centri in Italia, una presa in carico globale, multidisciplinare che permetta al paziente con HIV di affrontare e superare le sfide dell’invecchiamento. 

Il tutto in attesa che si trovi la cura per l’eradicazione totale del virus: ho sentito dire da alcuni ricercatori che questo è possibile, che ci arriveremo e ciò mi fa ben sperare.

Nel frattempo però non ci si deve dimenticare di chi oggi, nel qui e nell’ora, vive con l’HIV quotidianamente e ha il diritto di ricevere le cure migliori possibili,  e di realizzarsi a pieno negli affetti, nelle relazioni, nel lavoro e nella società, senza sentirsi mai ai margini. 

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